SANT’ONOFRIO:L’AFFRUNTATA SIMBOLO DI UNA RITROVATA GENUINITÀ
(SANT’ONOFRIO) Nel solco di una tradizione secolare che si rinnova, anche questa mattina l'Affruntata saprà di sicuro richiamare nella centralissima piazza Umberto I l'intera comunità santonofrese.
L’appuntamento è, come sempre, per le ore 10.00, per rivivere tutti insieme questa paraliturgia che affonda le sue radici nella notte dei tempi, rimandando ad una religiosità popolare semplice ed autenticamente genuina che mantiene ancora tutto il suo fascino antico.
Come ogni anno nel giorno di Pasqua, due ali di folla festante accoglieranno ed avvolgeranno di grande intensità emotiva l’incontro tra Cristo Risorto e la Madre vestita a lutto che, superata l’incredulità iniziale, in un tripudio di fuochi d’artificio e volo di colombe verrà “svilata” vestendo come d’incanto un manto "azzurro cielo" trapuntato di stelle dorate.
Un rituale che, nel solco della tradizione contadina del passato, quando dalla riuscita dell’Affruntata si traevano i necessari auspici sul positivo prosieguo della stagione e sulla bontà del raccolto, mantiene ancora comunque intatta la sua carica di forte coinvolgimento popolare.
Ad animare la rappresentazione, come sempre, i portatori delle statue i cui nominativi sono stati pubblicamente estratti a sorte nel corso della solenne celbrazione eucaristica della Domenica delle Palme.
E proprio sulle spalle dei portantini graverà, è il caso di dirlo, unitamente alla capacità di accompagnare con i loro passi cadenzati l’andirivieni frenetico di San Giovanni e dell’Addolarata mentre si approsimano ad incontrare il Cristo Risorto, il peso della riuscita dell'Affruntata.
Che, dopo le tristi e note vicende che hanno accompagnato le edizioni 2010 e 2011, persegue il ritorno a quella normalità di evento pubblico capace di esaltare la fede e la religiosità più genuinamente e squisitamente popolari.
(Raffaele Lopreiato Gazzetta del Sud 31/03/2013)
SANT’ONOFRIO:ARGIRÒ E POLICARO (UDC) SI PROCLAMANO GARANTI DI UNA BUONA GESTIONE
Argirò |
(SANT’ONOFRIO) Dopo la recente presa di distanze dal sindaco Tito Rodà e dall’esecutivo che lo affianca, il gruppo consiliare dell’Udc chiarisce il suo nuovo ruolo all’interno dell’amministrazione comunale di centrodestra.
La precisazione segue di pochi giorni le dimissioni di Nicola Argirò da presidente del consiglio comunale e la contemporanea decisione dello stesso, affiancato dal consigliere Tonino Policaro, di rimettere al sindaco le deleghe loro assegnate al momento dell’insediamento.
In una nota, i due amministratori dello scudocrociato dopo aver evidenziato che il “naufragio del paese è cosa ormai ben nota a tutti” puntualizzano di non ritenersi affatto “responsabili” di questo stato di cose in quanto proprio per “l’impossibilità di dialogo con il sindaco” sono stati costretti a lasciare le “poche poltrone” loro assegnate.
Tra i tanti problemi irrisolti che hanno determinato la “caduta libera del paese verso l‘abisso”, il gruppo consiliare Udc ricorda le tante proposte avanzate senza però alcun esito positivo.
Policaro |
Tra queste, la fruizione del centro di aggregazione sociale, lo sblocco dei lavori di ampliamento del cimitero comunale, la riduzione delle indennità del sindaco e degli assessori a favore della stabilizzazione a tempo pieno dei lavoratori socialmente utili, la pulizia del paese, il funzionamento della raccolta differenziata dei rifiuti”.
Ciò nonostante, i consiglieri Argirò e Policaro ribadiscono la loro nuova linea politica che li porterà ad essere “né opposizione né parte integrante di una maggioranza di cui non si condividono metodi e scelte, ma garanti di una buona amministrazione”.
Per il raggiungimento di tale obiettivo gli amministratori dell’Udc ribadiscono di voler “lavorare senza sosta fino a quando il sindaco non si sveglierà, facendosi carico dei mille problemi della gente”.
(Raffaele Lopreiato Gazzetta del Sud 23-03-2013)
JOSÈ MARAGÒ RICORDA COME, PAPA FRANCESCO, DA FIGLIO D’EMIGRANTI ITALIANI, SEPPE TOCCARE IL CUORE DI TUTTI
JOSÈ MARAGÒ RICORDA COME, PAPA FRANCESCO, DA FIGLIO D’EMIGRANTI ITALIANI, SEPPE TOCCARE IL CUORE DI TUTTI. QUEL GIORNO A BUENOS AIRES CON LA COMUNITÀ DI SANT’ONOFRIO
(SANT‘ONOFRIO) Tra i tanti piccoli e grandi aneddoti che iniziano a circolare sul nuovo pontefice Francesco, uno in particolare riguarda la comunità Santonofrese in Argentina.
Il tutto risale all’anno 2000, quando anche i Santonofresi di Buenos Aires, che in occasione delle più importanti ricorrenze religiose puntualmente si ritrovavano nei locali dell’omonimo circolo, espressero il desiderio di avere in dono una scheggia della reliquia della Santa Croce.
L’allora cardinale Bergoglio dialoga con i fedeli della comunità santonofrese prima della messa |
Era questo, a loro parere, il modo più solenne e autentico per rafforzare il legame affettivo e spirituale con il paese d’origine che, particolarmente devoto alla Santa Croce, da sempre venerava la sacra reliquia custodita nella chiesa madre e portata in processione con solenni festeggiamenti per ben tre volte l’anno.
A sostenere l’iniziativa del sodalizio italo argentino, con il relativo difficile iter burocratico da avviare presso il Vaticano, ci pensarono l’allora parroco di Sant’Onofrio don Gaetano Currà e padre Alberto Sorace, argentino di origini santonofresi in quel momento alla guida della parrocchia Santa Rosa de Lima di Buenos Aires.
Padre Sorace, in particolare, facendo leva su un consolidato rapporto di conoscenza, ritenne utile far perorare la richiesta anche al futuro papa Jorge Mario Bergoglio, in quel momento alla guida dell’Arcidiocesi della capitale argentina.
A rievocare oggi quei momenti ci pensa Josè Rodolfo Maragò, “storico” corrispondente argentino del periodico di informazione “La Voce di Sant’Onofrio”, che in quella occasione con Domingo Pileci faceva parte della delegazione ricevuta in arcidiocesi per la consegna della lettera ufficiale di accompagnamento alla richiesta presso la Santa Sede.
Maragò ricorda ancora nitidamente i dettagli di quella visita, durante la quale trovarono il cardinale Bergoglio “già impegnato in un incontro con l’ex presidente Raùl Alfonsin per discutere della grave crisi economica e finanziaria che in quel momento attanagliava il Paese”.
“Fu quella - continua Josè Maragò - l’ennesima conferma dello spirito caritatevole e di profonda umiltà che da sempre contraddistingue Bergoglio, con la sua innata capacità di improntare i rapporti umani alla massima disponibilità e semplicità, in un’ottica valoriale nella quale per lui pari sono i potenti della vita pubblica nazionale ed i rappresentanti di una piccola quanto sconosciuta comunità di emigrati”.
Altrettanto impressi nella memoria i ricordi legati al giorno in cui, giunta in Argentina la sacra reliquia, si svolse la cerimonia di intronizzazione nella chiesa prescelta della Santa Croce, nel quartiere Villa del Parque di Baires.
In quell’occasione il cardinale Bergoglio non volle mancare e Josè Maragò ricorda ancora, al momento della solenne benedizione impartita ai fedeli, le “toccanti parole del futuro pontefice che, partendo dalle sue origini di figlio di emigrati italiani che lo accomunavano a tutti i presenti, seppe toccare le corde del cuore individuando in quella funzione religiosa la profondità di una fede semplice quanto incrollabile, rivelatasi nel tempo il collante decisivo tra i milioni di italiani figli della diaspora sparsi n nel mondo e la loro amata madrepatria”.
(Raffaele Lopreiato, GAZZETTA DEL SUD 15/03/2013)
SANT’ONOFRIO: SALUTA IL NUOVO PAPA «FRANCESCO» JORGE MARIO BERGOGLIO
SANT’ONOFRIO: SALUTA IL NUOVO PAPA «FRANCESCO»
Al quinto scrutinio, scelto il nuovo Pontefice. «I miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo»
Bergoglio dice: «Cominciamo questo cammino insieme. Di fratellanza, d'amore, di fiducia fra noi. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza: preghiamo che questo cammino di Chiesa che oggi cominciamo sia fruttuoso per la evangelizzazione».
SANT’ONOFRIO: MAGGIORANZA IN CRISI,SI È DIMESSO IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ARGIRÒ
Nicola Argirò |
(SANT’ONOFRIO) L’ora della resa dei conti all’interno dell’amministrazione guidata dal sindaco Tito Rodà sembra ormai essere davvero arrivata.
Non tanto per i reiterati attacchi sferrati nelle ultime settimane dall‘opposizione, con l’amministrazione comunale divenuta bersaglio privilegiato del “nuovo corso” impresso al Partito Democratico dal segretario Giuseppe Ruffa, quanto per l’implosione tutta interna al centrodestra locale che sempre di più fa sentire i “sinistri scricchioli” provenienti da quella che apparentemente sembrava una granitica maggioranza politica.
Anche in considerazione del fatto che la compagine che sosteneva il sindaco Rodà nelle elezioni amministrative svoltesi poco meno di due anni fa si era trovata, a causa della defaillance del Pd, la strada completamente spianata dalla mancanza di credibili liste antagoniste.
A far precipitare il tutto le insanabili divergenze all’interno dell’Udc che, manifestatesi in questi ultimi mesi con una escalation di scontri a mezzo stampa tra il gruppo dirigente che fa capo al segretario cittadino Antonino Pezzo e l’esecutivo Rodà, culminavano con l’autoallontanamento dal partito, in concomitanza con le recenti elezioni politiche, dello stesso sindaco e degli assessori Salvatore Pronestì e Nicola Addesi.
Ad aggiungere ora nuova carne al fuoco, le irrevocabili dimissioni da presidente del consiglio comunale rassegnate nella giornata di ieri da Nicola Argirò, da sempre vicino alle posizioni del consigliere regionale Ottavio Bruni.
In una nota circostanziata fatta pervenire al sindaco ed a tutti gli amministratori Argirò, che comunque continuerà a svolgere la funzione di consigliere comunale, evidenzia come, dopo aver “scrupolosamente meditato sulle implicazioni politiche” del suo gesto abbia ravvisato, alla luce del nuovo quadro politico venutosi a determinare con lo spostamento del sindaco e di parte degli amministratori dalle “posizioni di centro a quelle di centrodestra”, la necessità di fare un passo indietro.
A motivare tale decisione anche considerazioni di ordine morale da parte dell’ormai ex presidente del consiglio, per consentire al sindaco Rodà di procedere se lo “riterrà necessario all’adeguamento degli organigrammi istituzionali sulla base dei nuovi schemi politici” venutesi a determinare.
Nicola Argirò non manca comunque di evidenziare come sulla sua decisione abbia anche contribuito il mancato raggiungimento da parte dell’amministrazione comunale di alcune “priorità ritenute strategiche per la crescita del paese e che allo stato non hanno avuto alcun riscontro positivo”.
(Raffaele Lopreiato)
BUENOS AIRES: JOSÈ RODOLFO MARAGÒ, GIÀ CORRISPONDENTE DE LA VOCE, È STATO DI RECENTE OSPITE DA "COME CANI E GATTI" UNA DELLE PIÙ SEGUITE TRASMISSIONI RADIOFONICHE IN ARGENTINA.
(BUENOS AIRES) Josè Rodolfo Maragò, già corrispondente de LA VOCE, è stato di recente ospite di una delle più seguite trasmissioni radiofoniche in Argentina.
Si tratta di "Come Cani e Gatti", un programma trasmesso da Radio 10 AM (la più ascoltata emittente radiofonica di Buenos Aires) condotto dal dottor Juan Enrique Romero, medico veterinario da lungo tempo apprezzato in numerose trasmissioni scientifiche e divulgative prodotte sia per la radio che per la televisione.
Al programma collaborano inoltre il dottor Ariel Zapata, Direttore della cattedra di addestramento animali della Facoltà di Veterinaria dell'Università Nazionale di Buenos Aires, ed il dottor Pablo Sande, oftalmologo veterinario, laureato presso la UNBA e specializzato presso il Collegio Latinoamericano di Oftalmologia Veterinaria.
Gli argomenti sviluppati nel corso del programma -che prevede un costante filo diretto con i radioascoltatori - spaziano dal possesso responsabile degli animali (progetto di cui il dott. J. E. Romero è direttore nazionale) ai dettagli per addestrare gli animali domestici ed alle notizie sulle malattie oculari di cani e gatti con i possibili trattamenti.
Lo spazio curato da Josè Rodolfo Maragò riguarda invece una interessante quanto originale ricostruzione del ruolo sovlto dalgi animali nei più importanti passaggi storici della Nazione Argentina.
Nel corso di questa puntata Josè Rodolfo Maragò si è soffermato sul cane che il generale José de San Martín addestrò durante il suo esilio in Francia (a Grand Bourg, probabilmente) e dei cavalli e dei muli che lo stesso utilizzò nella sua campagna per l'Indipendenza di Argentina, Cile e Perù.
Riguardo l'addestramento del suo cane, San Martín faceva finta di intentare un processo all'animale in quanto disertore. La sentenza era di inappellabile condana alla fucilazione, con San Martin che mimava l'esecuzione capitale con il suo bastone.
Il cane puntualmente si accasciava a terra e, fingendosi morto, si lasciava andare con gli occhi sbarrati. Era un animale molto intelligente e affettuoso, che probabilemnte gli era stato regalato a Guayaquil.
In una epica e tradizionale pittura che rappresenta l'incrocio delle Ande, San Martín è raffigurato in sella ad un cavallo bianco.
Questa descrizione non sembra giustificata dalla storia, perchè il suddetto incrocio dell'intero Esercito delle Ande è stato compiuto a dorso di muli, più addatti ai burroni della cordigliera.
La domanda capziosa che da sempre ricorre fra gli argentini è di conseguenza la seguente: "Di che colore era il cavallo bianco di San Martín?".
Ciò che storiograficamente è accettato, sulla base delle memorie del generale Jerónimo Espejo, che servì agli ordini di San Martín, è che il Libertador ha montato nel battesimo di fuoco del Reggimento dei Granatieri a Cavallo che lui stesso aveva creato ed organizzato, a San Lorenzo, il 3 febbraio 1813, un cavallo falbo (mantello bianco gialletto), molto elegante, che morì sotto i colpi di mitraglia dell'esercito realista non appena iniziò la battaglia, ferendo ad una gamba anche il fantino nella sua rovinosa caduta.
Successivamente a Mendoza, mentre organizzava l'Esercito delle Ande, San Martín montò un cavallo sauro carico (alazán tostado), e a volte un morello maltinto ("un zaino oscuro", ricorda Espejo, "quasi nero").
Nel rientro dalla campagna per l'independenza del Cile e del Perù, il colonnello Olazábal, anche lui subordinato al Padre della Patria, racconta nelle sue memorie il modo ammirato in cui guardava San Martín, che si avvicinava montando "una bellissima mula morella", accompagnato soltanto da due ufficiali, due attendenti ed un paio di mulattieri che portavano i loro bagagli.
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